L’interesse superiore del fanciullo: da significante a significato
1. Il superiore interesse del fanciullo, interpretazione giurisrupenziale evolutiva. 2. L’interesse prevalente del minore: una valutazione concreta e ponderata. 3. L’interesse prevalente da significante a significato.
***
1. Il superiore interesse del fanciullo, interpretazione giurisrupenziale evolutiva.
Il principio della tutela del “superiore interesse del fanciullo” com’è noto, trova solenne proclamazione nell’art. 3 dalla Convenzione sui Diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York (ratificata dall’Italia con Legge 27.05.1991, n. 176), che testualmente recita: In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente1.
Tale disposizione è stata ribadita anche da altre normative e dalla giurisprudenza a livello internazionale, fino a diventare un principio generale ormai consolidato all’interno dell’ordinamento giuridico di numerosi Stati (cfr., da ultimo, le “Linee guida del Consiglio d’Europa sulla giustizia a misura di bambino” adottate in data 17.11.2010, par. 3 lett. B).
All’interno dell’ordinamento giuridico del nostro Paese, la giurisprudenza riconosce pacificamente al principio del “superiore interesse del bambino” rilievo costituzionale.
Tale principio viene inquadrato alla stregua di vera e propria clausola generale che, alla luce degli artt. 2 e 31 Cost., costituisce parametro di valutazione della costituzionalità delle leggi2.
Il principio del “superiore interesse del bambino” viene tra l’altro ribadito anche a livello normativo: l’art. 317 bis cod. civ., infatti, stabilisce che il giudice, nel dirimere le questioni inerenti l’esercizio della potestà dei genitori sui figli, deve avere quale unico riferimento l’esclusivo interesse del figlio; analogamente, l’art. 155 cod. civ., così come modificato dalla L. n. 54/2006, dispone che il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Va sottolineato però che la locuzione “interesse prevalente del minore” ha un carattere generale e assertivo, a questo proposito, la Suprema Corte ha soccorso una legislazione lacunosa avendo avuto modo di affermare che il principio costituzionale della tutela del prevalente interesse del minore intende garantire la tutela più piena possibile ai concreti bisogni affettivi ed educativi di ciascuno e di tutti i minori coinvolti nelle vicende giudiziarie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Civ., Sez. I, 16.02.2002, n. 2303).
In tali passaggi si fissano due criteri importanti che sono:
-
il criterio della dimensione affettiva ed educativa quale aspetti discriminanti, definiti, non a caso, come bisogni;
Da ultimo una recente e importante pronuncia ha spiegato come i recenti interventi normativi in materia di filiazione (articolo 315 bis c.c.; Legge n. 219 del 2012, articolo 2, comma 1) pongano l’ascolto del minore, come evidenzia anche la nuova “sedes materiae”, fra le regole fondamentali e generali attraverso le quali, realizzandosi il riconoscimento dell’ascolto stesso come diritto assoluto del minore, viene perseguito il suo interesse superiore, corrispondente al suo sviluppo armonico psichico, fisico e relazionale, da perseguirsi anche attraverso l’immediata percezione delle sue opinioni in merito alle scelte che lo riguardano, consentendo, in tal modo, la partecipazione del minore stesso al giudizio, in quanto “parte in senso sostanziale” (Cass. I sez Civ. 5 marzo 2014 n. 5237 nello stesso senso Cass., Sez., sez. U. 22238 del 2009).
Da questo intervento si comprende con chiarezza come l’interesse esclusivo del minore corrisponda al suo sviluppo armonico psichico, fisico e relazionale e come tali obiettivi si possano raggiungere attraverso la corretta percezione delle sue opinioni (diritto all’ascolto, qualora sia capace di discernimento).
Fra le due pronunce ora riportate vi è una sostanziale complementarietà in quanto i bisogni affettivi ed educativi sono in un rapporto di stretta dipendenza con il concetto di sviluppo armonico psichico, fisico e relazionale tanto che gli uni possono considerarsi i presupposti degli altri.
Solamente, infatti, soddisfacendo adeguatamente i bisogni affettivi ed educativi di un minore si può giungere ad uno sviluppo armonico psichico, fisico e relazionale.
Tali indicazioni, apprese dagli arresti giurisprudenziali più interessanti, sono in perfetta sintonia con la L. 173/2015 che, per la prima volta, a livello normativo, eleva il biogno affettivo quale criterio giuridico di valutazione del miglior interesse del fanciullo stabilendo di tenere conto de “i legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria” e in genere la continuità affettiva.
2. L’interesse prevalente del minore: una valutazione concreta e ponderata.
Il principio dell’esclusivo interesse del minore se lo si considera quindi circoscritto ad un piano teorico rischia di rimanere un mero significante, una norma stilistica e formale, priva di conseguenze sul piano pratico e giuridico.
La Suprema Corte sul punto ha chiarito che “le indagini e le valutazioni del giudice del merito non debbono svolgersi sul piano astratto e generale, ma, in ossequio al principio di rilevanza costituzionale della tutela del prevalente interesse del minore, debbono avere ad oggetto la fattispecie concreta” (Cass. Civ., Sez. I, 16.02.2002, n. 2303).
La concretezza si pone come elemento necessario e costitutivo del principio del prevalente interesse del minore, senza la quale lo sforzo dell’interprete stazionerebbe in un ambito astratto e quindi inutile e facilmente strumentalizzabile.
La valutazione sulla fattispecie concreta consta in una ponderazione di vantaggi e svantaggi fra loro spesso contrapposti; va fatta quindi un’analisi degli interessi concreti in gioco e quindi posto un giudizio di prevalenza, fra i rischi e i benefici che scaturiscono dal tipo di provvedimento che si vuole emettere e le ragioni che lo giustificano.
Solo ed esclusivamente quando i benefici sono maggiori dei rischi o dei sacrifici, collegati alle ragioni che giustificano i provvedimenti, si potrà dire di avere operato concretamente nell’interesse prevalente del minore.
Può essere utile una banale ma eloquente esemplificazione: nel campo medico è ovvio che ogni intervento chirurgico va eseguito nell’esclusivo interesse del paziente se il medico però non compie una valutazione concreta in base ad un giudizio di equivalenza fra i rischi, i benefici dell’operazione e le ragioni che la giustificano, anziché guarire, rischia di commettere degli imperdonabili errori: se si amputa la gamba, infatti, per evitare che vada in cancrena, si salva la vita del paziente, se la si amputa senza ragione si commette, oltre che un terribile sbaglio, anche un reato.
Emettere quindi un provvedimento, specie se afflittivo, nell’interesse prevalente del minore in mancanza di una valutazione concreta basata su un giudizio di prevalenza fra i rischi o i benefici del provvedimento e le ragioni che lo giustificano, significa violare direttamente la norma che pone il principio dell’interesse prevalente del minore, in quanto, come detto, la valutazione concreta ne è parte necessaria e costitutiva.
In altre parole va detto che, in assenza di un preciso giudizio di equivalenza o prevalenza fra interessi concreti, individuati e analizzati e che fanno capo al minore, provvedere nel suo prevalente interesse, equivale ad apporre una mera clausola di stile, priva di alcun significato.
Indipendentemente dal merito quindi, cioè dai criteri utilizzati per stabilire la linea gerarchica dei diritti in gioco, la mancata analisi degli interessi del minore può vanificare ogni sforzo interpretativo, privo di una procedura valutativa valida e controllabile.
La giurisprudenza ha compreso che debba nascere in capo all’interprete l’obbligo di porre un giudizio di equivalenza o prevalenza fra gli interessi eventualmente contrapposti (dello stesso minore o di altri soggetti).
Solo se e solo quando l’interprete espone i parametri di valutazione comparativi sugli interessi concreti del minore che si sono sacrificati o che si sono tutelati è possibile un controllo sulla motivazione. In assenza di un tale costrutto argomentativo, il rischio è quello di adottare misure, soluzioni, provvedimenti cui l’interesse prevalente del minore diventa una formula meramente stilistica.
In un’ottica di innovazione della L. 184/83, queste considerazioni interessano il tema degli affidamenti e dei collocamenti eterofamiliari.
Infatti, nel momento in cui i provvedimenti che riguardano un minore intervengono sulla collocazione, sull’affidamento, su interessi inerenti cioè gli affetti familiari, l’interesse prevalente del minore impone un’indagine sul contesto di vita più’ adeguato a soddisfare le loro esigenze materiali, morali e psicologiche, operazione che si realizza anche sulla base di un giudizio prognostico in ordine alla capacita’ di ciascuno dei genitori di far fronte a tali esigenze nella nuova situazione determinata dalla separazione3 (Cass Civ I sez. 10/07/2013 n. 17089).
I provvedimenti che collocano il minore in luoghi diversi da quelli abitudinari, intervenendo sugli affetti familiari e quindi sugli interessi e sui beni più delicati e profondi che un minore possiede (le risorse affettive) deve addirittura formulare, non solo un giudizio di prevalenza, ma anche un giudizio prognostico in grado cioè di tracciare, per quanto umanamente possibile, le linee di una conoscenza preventiva sulle capacità e idoneità dei genitori e, specialmente, sui danni o sui benefici che il minore potrebbe ricavare nella permanenza in una casa famiglia.
Va da sé che nell’ipotesi in cui si decida il collocamento eterofamiliare le valutazioni, nell’interesse prevalente del minore, devono essere ancora più rigorose e approfondite.
3. L’interesse prevalente da significante a significato.
L‘interesse prevalente del minore quindi, da significante diventa significato, vale a dire che, per usare termini giuridici e non presi in prestito dalla semiotica, da clausola di stile diventa norma cogente, solo ed esclusivamente se vengono pienamente colte le sentenze della Cassazione che in chiave evolutiva, appunto, hanno delineato i profili di innovazione legislativa che possono rendere concreto e applicabile questo principio fondamentale dell’ordinamento giuridico.
Vanno quindi definiti a livello normativo i criteri per valutare quale sia l’interesse superiore del fanciullo e fra questi va indicato il bisogno alla continuità e alla stabilità affettiva del fancliullo quale bisogno primario che supera e prescinde dal concetto di idoneità e competenza genitoriale, in maniera tale che il collocamento eterofamiliare sia da considerarsi una soluzione eccezionale da adottare solo in casi gravi in cui sia accertato un pericolo di lesione dell’integrità psicologica o fisica del fanciullo (abusi o maltrattamenti, casi di abbandono).
Sono da cogliere quindi anche le sollecitazioni della giurisprudenza nel prevedere obbligatoriamente, nella parte argomentativa dei provvedimenti che intervengono sulla vita dei fanciulli, una valutazione concreta degli interessi in gioco ed una adeguata comparazione per addivenire ad un giudizio di prevalenza.
Così come nell’esempio innanzi posto sull’amputazione di un arto, giustificato solo con il pericolo di vita, allo stesso modo le ragioni del sacrificio delle relazioni familiari (stabilità e continuità affettiva) devono fondarsi sulla presenza di danni o pericoli oggettivamente maggiori dei beni del bambino che si intendono sacrificare, da qui il concetto di giudizio di equivalenza o prevalenza fra interessi contrapposti.
A tale operazione si aggiunge anche un giudizio prognostico che impone al Giudice di valutare le condizioni, le possibilità e i tempi di recupero delle capacità dei genitori di riprendere il ruolo affettivo ed educativo.
Girolamo Andrea Coffari
1Questo principio era stato già affermato con la precedente dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 20 novembre 1959 al principio settimo si legge: (…) Il superiore interesse del fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua educazione e del suo orientamento (…)
2Sentenze Corte Cost. nn. 308/2008, 61/2006. 425/2005 e 341/1990).
3 In proposito, e’ appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità’ che individua, quale criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice della separazione nell’adozione dei provvedimenti riguardanti la prole, quello dell’esclusivo interesse morale e materiale della stessa, il quale impone di privilegiare, nell’affidamento dei figli, la soluzione più’ idonea ad evitare o ridurre i danni derivanti dalla dissoluzione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità’ dei minori, consentendo a questi ultimi di crescere ed essere educati nel contesto di vita più’ adeguato a soddisfare le loro esigenze materiali, morali e psicologiche, e ciò sulla base di un giudizio prognostico in ordine alla capacita’ di ciascuno dei genitori di far fronte a tali esigenze nella nuova situazione determinata dalla separazione (cfr. Cass., Sez. 1 , 27 giugno 2006, n. 14840; 22 giugno 1999, n. 6312).